«Tasse in aumento, zero premialità su innovazioni e tracciabilità lacunosa». Le imprese del marmo contestano il Regolamento

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Interviene la sezione Escavazione, Lapideo e Carbonati di Confindustria sui ricorsi presentati dalle aziende contro la normativa degli agri marmiferi approvata recentemente dal Consiglio comunale di Carrara

In merito ai ricorsi presentati dalle imprese del marmo contro il Regolamento degli agri marmiferi approvato recentemente dal Consiglio comunale di Carrara, interviene la sezione Escavazione, Lapideo e Carbonati di Confindustria Massa-Carrara che «ritiene necessario fare chiarezza, ferma una premessa da valersi anche quale auspicio: che sia convintamente superata la logica dell’incomunicabilità e che si riconosca che chi fa impresa e investe non è un avversario da mettere al muro lasciando come unico strumento di difesa dell’impresa e del destino di coloro che vi lavorano quello della via giudiziaria».

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«L’impresa, come sta scritto nella nostra Costituzione, è portatrice di interessi generali per il semplice motivo che senza sviluppo non c’è progresso economico e sociale. L’auspicio quindi è solo quello che la concertazione, sino ad ora rimasta un mero slogan, diventi realtà nell’interesse comune delle imprese e dell’intera collettività. Dopo queste premesse, in replica alle critiche ricevute, si devono formulare alcune precisazioni. Sui livelli estensi è evidente che ci sono posizioni lontane, per noi un regolamento non ha il potere di modificare un diritto reale tutelato dalla Costituzione, ma sarà la magistratura italiana ed europea a stabilire se la nostra opinione sia giuridicamente fondata».

«Quanto al regolamento spiace invece constatare che l’obiettivo che si cerca di ottenere, ovvero l’incremento della filiera, diventi irraggiungibile proprio per le strette maglie dettate dal regolamento stesso. Un esempio per tutti: non è prevista alcuna premialità che favorisca la ricerca, l’innovazione e gli investimenti in nuove tecnologie volte ad aumentare non solo il valore del marmo ma anche l’indotto. E ancora, la logica quantitativa che detta il regolamento spinge nella direzione inversa e cioè premia la quantità dell’escavazione rispetto alla qualità dell’escavato, imponendo la trasformazione anche degli informi e dei materiali di bassa qualità, con uno scarso mercato interno ed estero e che richiedono lavorazioni non solo diseconomiche, ma anche molto impattanti dal punto di vista ambientale. Tanto che queste lavorazioni ormai sono abbandonate anche nei paesi con il costo del lavoro inferiore al nostro. Ma non solo, questa logica è disancorata dalla normativa regionale di riferimento (Legge 35/2015) non considerando nel lavoro di trasformazione il recupero e il riuso dei derivati dell’escavazione e della lavorazione del marmo, con buona pace di quell’economia circolare del marmo, che decine di imprese escavatrici hanno avviato con la costituzione della Carrara Marble Way, azienda locale che riutilizza come materie prime seconde quelle che un tempo erano considerate rifiuto, dando quindi una nuova vita a un materiale, diminuendo l’utilizzo di materie prime riducendo la necessità di ricorrere a cave di scopo. A dimostrazione dell’innovazione prodotta occorre ricordare che Carrara Marble Way nel dicembre del 2019 è stata insignita del premio “Innovazione ed economia circolare” dalla Regione Toscana».

«Quindi – prosegue Confindustria – è un non senso tassare le scogliere come se fossero blocchi lavorabili e vendibili nel mercato come pietra ornamentale, perché è un artificioso aumento del prezzo che ne determina l’invendibilità. Prova ne è che Carrara Marble Way, a fronte di una forte domanda di scogliere, in considerazione della forte tassazione non è competitiva sul mercato. Analoghe considerazioni valgono per l’alta imposizione fiscale che rende meno competitivi i materiali rispetto ad altri del resto della Toscana, dove le tassazioni delle amministrazioni sono molto più basse che nella nostra provincia. Quanto alla tracciabilità, non se ne contesta certo il sistema in generale, anzi lo stesso è stato accolto benevolmente, ma ciò che si è dovuto purtroppo contestare è stata la sua concreta operatività, anzi inoperatività, perché affetta da evidenti lacune e difetti operativi del sistema informativo. Esso infatti, per come impostato “blocco per blocco”, è totalmente disancorato dalla tipicità della vendita in cava e, conseguentemente, determina un’alterazione del valore del materiale senza raggiungere lo scopo ed il fine desiderato».

«La vendita in cava – aggiungono ancora – non avviene mai blocco per blocco, ma per insieme di blocchi (le cosiddette “partite”), in ragione di diversi fattori tra cui le caratteristiche dimensionali del blocco. Conseguentemente in cava si formano due o più insiemi di blocchi all’interno di ciascuno dei quali si ha un assortimento “uniforme” per dimensioni, qualità e difetti presenti, cui viene dato un valore medio per riuscire a vendere tutta la produzione, non solo quindi blocchi di prima scelta. Criteri questi totalmente ignorati nell’app del palmare, come se i blocchi di marmo fossero mattonelle, dal momento che si tratta di un sistema operativo totalmente slegato dal contesto produttivo cui si pretende di applicare con il concreto risultato di assegnare valori irreali e quindi fuori mercato, e con conseguente danno alla valorizzazione del Marmo di Carrara ed all’auspicato ampliamento di un’industria di filiera. Da parte nostra c’è solo l’esigenza di veder rispettati i diritti delle imprese e di avere regole chiare, concrete ed applicabili. Chi fa impresa è ben consapevole che la soluzione del contenzioso non è uno strumento su cui poter costruire il futuro delle nostre imprese e dell’intera economia locale. Per questo ribadiamo la nostra piena disponibilità ad aprire un tavolo di confronto e di concertazione con l’amministrazione che sappia superare le contrapposizioni del presente e guardare al futuro».

Fonte: www.voceapuana.com