Nuove dinamiche tariffarie: chi guadagna e chi rischia nel mercato globale del marmo?

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Dopo il recente annuncio del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump riguardo alla sospensione temporanea (per 90 giorni) dei dazi aggiuntivi sulle importazioni di marmo dalla maggior parte dei Paesi, l’attenzione torna a concentrarsi sugli equilibri geoeconomici dell’industria globale della pietra naturale.

La decisione rappresenta una boccata d’ossigeno per esportatori chiave come Italia, Turchia e India, nazioni con una forte dipendenza commerciale dal mercato statunitense. Tuttavia, la Cina è esclusa da questo regime agevolato: i dazi sulle importazioni cinesi di marmo rimangono in vigore e aumentano fino al 145%, alimentando ulteriormente le tensioni commerciali e confermando il carattere politicamente mirato delle misure statunitensi.

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Chi è più esposto al mercato americano?

Gli Stati Uniti restano uno dei principali importatori mondiali di marmo, sia in termini di valore che di volume. Per molti Paesi produttori, il mercato americano rappresenta un partner strategico, e ogni cambiamento nella politica commerciale di Washington ha un impatto diretto sulle performance di esportazione.

Per valutare il grado di esposizione alle variazioni tariffarie statunitensi, sono stati analizzati i dati disponibili relativi alla quota delle esportazioni di marmo verso gli USA — sia in valore che in quantità.

Dipendenza delle esportazioni in valore:

  • Brasile: Il Paese più esposto, con il 78,77% del valore delle sue esportazioni di marmo destinato agli Stati Uniti. Questa forte dipendenza rende il settore brasiliano particolarmente vulnerabile a qualsiasi cambiamento tariffario.

  • India: Il 63,20% delle esportazioni di marmo è destinato al mercato americano. L’India si trova in una fase di transizione, tra un modello basato sul volume e uno orientato verso il valore aggiunto.

  • Italia: Presenta una dipendenza significativa pari al 39,23%, focalizzata su prodotti raffinati e di alta qualità, fattore che può offrire una relativa resilienza.

  • Turchia: Con una quota del 33,13%, si affida in gran parte a esportazioni di materiale grezzo o semilavorato, venduto a prezzi competitivi.

  • Cina: Nonostante un’esposizione apparente più bassa (20,30%), la politica commerciale statunitense rende l’impatto dei dazi sproporzionatamente elevato.

  • Grecia, Spagna, Portogallo: Questi Paesi dell’Europa meridionale mostrano una dipendenza inferiore (tra il 9% e il 15%), che li rende più flessibili in caso di turbolenze commerciali.

Dipendenza delle esportazioni in quantità:

Anche i dati relativi al volume confermano le stesse tendenze:

  • Brasile: In testa anche per quantità, con il 79,26% delle esportazioni rivolte agli Stati Uniti.

  • India: Segue con il 61,66%, confermando un modello produttivo fortemente legato alla domanda americana.

  • Turchia: Supera l’Italia in termini di volume, segno di un livello medio di lavorazione inferiore.

  • Cina: Solo il 12,97% del volume esportato è diretto agli USA, ma il peso politico delle sanzioni rimane elevato.

Diversificazione e strategie di resilienza

La dipendenza commerciale non si misura solo in termini numerici. La diversificazione geografica delle esportazioni è un fattore chiave per la resilienza:

  • Paesi come Brasile e India, con una concentrazione eccessiva verso gli USA, affrontano un rischio sistemico elevato.

  • Al contrario, Paesi con presenza commerciale più diffusa – come Portogallo, Spagna e Grecia – hanno maggiore margine di manovra e possono persino guadagnare quote di mercato in caso di riorientamento della domanda.

Conclusioni strategiche per il settore

La sospensione temporanea dei dazi è un sollievo momentaneo, non una soluzione definitiva. Il contesto resta incerto, e i Paesi con alta esposizione dovrebbero:

  • Sviluppare strategie di diversificazione dei mercati di sbocco

  • Migliorare la competitività attraverso la qualità e la lavorazione dei prodotti

  • Investire in partnership commerciali al di fuori degli Stati Uniti

Il caso della Cina ricorda che il rischio politico può prevalere anche in presenza di bassa dipendenza commerciale. In questo scenario, la strategia geoeconomica diventa più cruciale che mai per gli attori del settore della pietra naturale.

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