Italia: la storia il trasporto del marmo dai romani a oggi

Photo: Megan Andrews (@meganreandrews)
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Per secoli il trasporto dei blocchi di marmo dalla cava al litorale e il carico degli stessi sulle barche costituì un problema con conseguente limitazione allo sviluppo delle attività estrattive, soprattutto per il costo elevato.

Per quanto riguarda il sistema di trasporto, dal tempo dei Romani fino a pochi decenni fa si praticava la lizzatura per spostare i blocchi dai fronti di cava fino ai piazzali. Qui, fino ai primi decenni del Novecento, il trasporto si effettuava anche con l’uso di carri trainati da buoi, i quali, stremati per l’enorme sforzo, talvolta morivano lungo il percorso. Una volta raggiunto il litorale, i blocchi erano trasportati sulle imbarcazioni che, al tempo dei Romani, partivano da Luni; dopo l’anno Mille i blocchi venivano prima caricati su piccole imbarcazioni nel litorale avenzino e poi trasportati sulle navi al largo.

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Il piccolo approdo medievale di Avenza era frequentato da navi diverse tra loro per forma, provenienza e portata, che rappresentavano le varie marinerie, compresa quella locale: queste trasportavano i marmi lungo il Tirreno, dalla Sicilia a Genova.

L’idea di un porto a Marina d’Avenza, chiamata successivamente Marina di Carrara, si ebbe dopo la metà del Settecento. Venne scelta Marina d’Avenza poiché si doveva tener conto del fenomeno di avanzamento della linea di costa. Inoltre risale a quel periodo la distesa di macchia piantata, che da Avenza si estendeva fino alla prossimità della spiaggia, con la funzione di difendere dagli effetti delle libecciate le nuove terre coltivate. Il progettò del porto però non fu realizzato: solo un ponte caricatore fece la sua comparsa nell’Ottocento.

Risale invece al 1876 l’apertura della Ferrovia Marmifera, che sostituì gradualmente il trasporto tramite buoi. Occorsero invece molti anni per un sistema che sostituisse la lizzatura: nell’ultimo dopoguerra si smantellò la Marmifera e si costruì una rete viaria nei bacini marmiferi, permettendo ai mezzi gommati di caricare i blocchi direttamente in cava e di portarli nei luoghi di trasformazione.

L’infrastruttura che ha fornito un contributo essenziale allo sviluppo dell’industria del marmo apuano è stato proprio il porto di Marina di Carrara, costruito a partire dal 1921. Al porto apuano fanno capo diverse linee di navigazione collegate con nazioni del Nord-Europa, con la penisola iberica, con il Canada, con il Brasile, con il Sudafrica, con la Cina, con l’India: i principali paesi  verso i quali viene importato materiale grezzo.

Anche se si pensa infine a come era organizzata una cava e ai luoghi dove il marmo veniva trasformato e lavorato si notano molti cambiamenti. Nel Medioevo maestranze di pisani, fiorentini, senesi e orvietani si insediarono nelle cave apuane al fine di esportare i nostri marmi per utilizzarli nelle grandi imprese delle loro città. Da questo fenomeno scaturì la nascita del primo ceto di artigiani imprenditori del marmo carrarese.

A metà del Quattrocento le cave erano organizzate secondo una corporazione di lavoratori, denominata “Ars Marmoris”: gli affiliati svolgevano tutte le fasi dell’escavazione e della lavorazione del marmo, nonché il suo commercio. Occorre però attendere quasi un secolo per la comparsa delle prime botteghe, tra cui la più nota era quella fondata da Bartolomé Ordoñez (Burgos, 1480 – Carrara, 1520), uno dei più importanti scultori iberici del Rinascimento, giunto nel 1519 a Carrara per realizzare opere commissionate dalla corte reale spagnola. Nelle botteghe ognuno aveva la sua specializzazione: oltre al maestro, si trovavano gli scultori, gli scalpellini, i lucidatori, e molti altri addetti a diverse mansioni.

Se l’attrazione verso i grandi centri culturali come Roma e Napoli condusse gli artisti carraresi a trasferirsi o a compiere lunghi soggiorni in queste città (in città non ci fu mai una scuola locale propriamente detta), ci furono anche momenti in cui gli scultori avvertivano il desiderio di creare nella città d’origine luoghi in cui radicare le loro tradizioni: molti artisti carraresi quindi, dopo aver trascorso periodi fuori città per apprendere e migliorare le loro tecniche, tornavano a Carrara, dove si stabilivano definitivamente con i loro laboratori.

Per stimolare la lavorazione locale dei marmi prodotti nacque alla fine del Settecento l’Accademia di Belle Arti, a cui erano legati laboratori artigiani. Una forte crescita di questi ultimi è attestata in epoca napoleonica.

Generalmente ai laboratori gestiti da famiglie di marmorari venivano commissionate importanti opere da artisti e architetti famosi, poiché qui artigiani specializzati svolgevano il loro lavoro con serietà e competenza e inoltre il lavoro veniva diviso, frammentato, seguendo le competenze di ognuno di essi, cosicché ne risultassero opere di straordinaria qualità.

Con il XX secolo il numero dei laboratori diminuì sempre di più, ma al contrario il numero dei lavoratori impiegati in ciascuno di essi crebbe maggiormente. Vennero introdotti macchinari moderni e i laboratori assunsero un aspetto sempre più industriale, fino ad arrivare ai giorni nostri in cui i pochissimi rimasti sono legati alle segherie.

L’industrializzazione e le nuove tecnologie nate grazie all’informatica non sono riuscite a cancellare tuttavia quei laboratori che possiedono una lunga e radicata tradizione e che ancora oggi custodiscono saperi millenari, formano generazioni di giovani artisti e producono sculture che saranno poi inviate in tutto il mondo.

Fonte: www.carraramarbletour.it